di Fiorenzo Dosso
“Quello che un buon fotografo deve cercare di fare è mettere sulla stessa linea di mira il cuore, la mente e l’occhio”: la definizione è del francese Henri Cartier-Bresson, uno dei mostri sacri dello scatto fotografico di tutto il secolo scorso.
La frase ci sembra, davvero, il modo migliore per rendere omaggio ad Ambrogio Caprotti, nel giorno in cui la città dà l’estremo saluto a un uomo che è stato riferimento imprescindibile di noi inguaribilmente innamorati del Monza.
Nelle sue foto siamo sempre riusciti a cogliere il perfetto allineamento tra il cuore, la mente e l’occhio: profondamente biancorosso il primo, vivacemente sveglia la seconda, tecnicamente attento il terzo.
Mi permetto di sintetizzare quello che hanno rappresentato per me gli scatti di Ambrogio sulle pagine de ‘Il Cittadino’ del giovedì: il sogno degli anni ‘70, la resilienza negli ‘80, la disillusione dei ‘90, il declino di inizio millennio.
In occasione della pubblicazione dei miei libri fu un onore poter inserire nelle copertine, grazie alla collaborazione con il figlio Giuseppe, la fondamentale specifica ‘Foto Caprotti’.
Garanzia di qualità. Marchio di fede.
Per scrivere queste righe sto scorrendo, non senza malinconia, alcuni scatti.
Brividi senza tempo, fascino consegnato per sempre alla nostra storia.
Liedholm col colbacco, Marconcini con la coppola, i sorrisi di Magni e Cappelletti, i gol di Pradella, la falcata di Scaini, un primo piano di Beccalossi, un rustico duello tra lo stopper dell’Udinese Cattaneo e Gigi Casiraghi, una acrobazia di Penzo, l’opportunismo di Silva.
E ancora: Claudio Sala con la fascia di capitano che scarica in rete, Giovannini che tiene tra le mani un piccione, Antonelli e Pat Sala in posa, l’uscita dal campo di Felice Pulici e Anquilletti, lo scatto dalla panchina di Frosio, le braccia alzate di Mandelli sotto la curva.
L’elenco è infinito.
E poi: le classiche foto delle squadre prima del fischio d’inizio. Quella con il giovane Giaguaro, quella del Borussia di Brianza, quella dello spareggio di Bologna, quella del Sor Guido, quella di Tortona, quella dell’ultimo miracolo di Gigi Radice. Epoche diverse, giocatori diversi, allenatori diversi e un unico grande amore che ha attraversato la sua attività per circa 50 anni: il Monza.
E infine, una curiosità. Chissà chi avrà fatto le foto... al fotografo: Ambrogio all’aeroporto di Bari con Galliani, Reali e Magni, Ambrogio che scende dall’aereo con Vincenzone, Ambrogio che sta immortalando Maradona a Monzello?
Da bordo campo all’instaurarsi di amicizie profonde il passo è breve. Molto breve.
Un click, una battuta, una parola detta al momento giusto, cementano rapporti che resistono all’usura del tempo. Che, anzi, migliorano con il passare degli anni. Come il vino buono.
E così il negozio di via Canova diventa centro nevralgico e archivio permanente della nostra storia. Passano da Ambrogio figure che tanto hanno dato alla causa biancorossa: da Jimmy Fontana a Eugenio Gamba, da Romano Cazzaniga a Giuliano Vincenzi. Anche qui elenco infinito.
Menzione a parte per due autentici miti biancorossi uniti ad Ambrogio da affetto fraterno: Alfredo Magni e Gigi Sanseverino. Il mister e il cannoniere del ‘nostro’ Monza più romanticamente bello.
Da bordo campo allo scouting: Ambrogio ha sempre prediletto calciatori di un certo tipo. Alla Ugo Tosetto, alla Marco Bolis, alla Tonino Asta. Il suo rapporto con il Monza è stato per lungo tempo così profondo che vari dirigenti – da Marotta a Terraneo – hanno ricevuto, da parte del fotografo/osservatore, dettagliate segnalazioni tecniche su giocatori da monitorare.
28 febbraio 1988: il Monza di Frosio (poi promosso) busca di brutto a Trento letteralmente fatto a fette da un giovane biondino con l’argento vivo addosso. Quel biondino ne farà di strada. Per anni Ambrogio e Giancarlo Besana si attribuirono la primogenitura del (peraltro non accolto) suggerimento alla dirigenza biancorossa. Quel biondino si chiamava Beppe Signori.
C’è da scommettere che Ambrogio e il Gianca ne staranno discutendo ancora animatamente da qualche parte. Anche se prima il fotografo avrà abbracciato il giornalista/amico raccontandogli con le lacrime agli occhi che il ‘loro’ Monza è stato per tre anni in Serie A…
Ciao, Ambrogio. Grazie per la Tua fantastica testimonianza fotografica.